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Le 4P-7P del Marketing Mix

Le 4P-7P del Marketing Mix
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Le 4P-7P del Marketing Mix

P

er definizione il marketing mix è l’insieme degli strumenti necessari alla pianificazione del marketing.
Le voci fondamentali che compongono il marketing mix sono 4, conosciute come LE 4P DEL MARKETING MIX,
e precisamente:

– Product (prodotto);
– Price (prezzo);
– Place (punto vendita/distribuzione);
– Promotion (promozione).

Quando questi elementi sono ben calibrati, allora possiamo essere competitivi ed avere una buona possibilità di successo sul nostro mercato di riferimento che sappiamo essere ogni giorno un terreno di conquista sempre più complesso.
Va detto che c’è una specie di gara ad incrementare le 4P aggiungendone di altre, ulteriori P come magari Pubblicità (che in effetti è diversa dalla promozione già presente) oppure Packaging… perché no? Sono tutte voci importanti che fanno parte di quelle considerazioni importanti di cui tenere conto oltre alle 4p del Marketing Mix canoniche.
Prima di analizzare nello specifico le singole voci, scopriamo che ci sono anche altri strumenti da tenere in considerazione per una corretta impostazione del marketing dell’impresa, per cui è preferibile mantenere i 4 principali già elencati, e da questi estrarne una serie più approfondita di attività, come esposto nella immagine che segue:

PRODOTTO PREZZO PUNTO VENDITA PROMOZIONE

Le imprese tuttavia devono tenere ben presente che il punto di vista del cliente è diverso, per cui devono prima porsi nei panni del compratore e pensare in termini di valori ricercati, perché il nostro marketing mix deve creare la strada per incontrare i favori del potenziale cliente, che è sempre più “persona senziente” piuttosto che “consumatore seriale”.

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Tali valori sono stati identificati nelle 4C che rappresentano in sostanza la domanda del cliente alla quale l’impresa deve correttamente rispondere con le 4P (la tabella).

le 4P del Marketing mix

Andiamo ora a descrive brevemente le singole voci del Marketing Mix:

Prodotto:

Alla base di qualsiasi attività c’è un prodotto o servizio offerto, e l’impresa dev’essere capace a differenziarsi sul mercato e magari fare un’offerta migliore.
Le differenze possono essere riassunte in differenze fisiche, differenze nella distribuzione, differenze di servizio, differenze di prezzo, differenze d’immagine.
È facilmente intuibile come ogni differenza è poi scomponibile in varie altre sottocategorie che possono rendere davvero la proposta unica.

Prezzo:

Il prezzo si differenzia dalle altre tre variabili in quanto produce ricavi, mentre le restanti producono costi, o per meglio dire, investimenti.

Calcolare il prezzo per stare sul mercato nel modo più profittevole possibile è complicato, basti pensare che abbassando i prezzi si vendono più unità di prodotto ma con meno ricavo sul singolo pezzo, però otteniamo più forza sui fornitori e sulla rete vendita… alzandoli troppo rischieremo invece di non vendere affatto scontentando i nostri agenti commerciali e perdendo quote di mercato. Il lavoro sta quindi nel trovare il giusto punto di equilibrio; a tale scopo può esserci utile il calcolo del BREAK EVEN POINT, argomento che sarà oggetto di approfondimento in un articolo dedicato.

Punto vendita/distribuzione (anche “Posto”)

Il prodotto o servizio dev’essere reso facilmente disponibile al mercato obiettivo (il nostro target). Il costo della distribuzione può essere molto importante e va tenuto sotto controllo poiché andrà a incrementare il costo industriale del prodotto e quindi inevitabilmente il prezzo finale al cliente. Talvolta alcune imprese assorbono i maggiori costi di distribuzione riducendo il margine di guadagno pur di non aumentare il prezzo al cliente che potrebbe rivolgersi ai competitor. Conviene vendere direttamente o con intermediari? O magari con tutti e due i sistemi? Vendiamo con i cataloghi a casa o tramite programmi di vendita televisivi? Telemarketing? Sul web?



Sono scelte strategiche da valutare e pianificare con la massima attenzione e le decisioni devono essere frutto di considerazioni fatte su numeri e relative rappresentazioni su
grafici.


Promozione

La promozione comprende tutti quegli strumenti (sono molti) con i quali possiamo comunicare un messaggio al nostro target e si possono suddividere sostanzialmente in sei macrocategorie:
Pubblicità, promozione delle vendite, pubbliche relazioni, vendita personale, marketing diretto, web marketing.

Le altre “P” del Marketing Mix

Se il mercato è soggetto a continui cambiamenti, figuriamoci il Marketing che deve cogliere o addirittura anticiparne le tendenze.

Per questo anche il marketing mix nel tempo si aggiorna e alle 4 P basilari già elencate scopriamo che se ne sono aggiunte di nuove: andiamo a vedere brevemente le altre tre che sono entrate nel marketing mix :

Packaging

Il packaging è la confezione del prodotto/servizio. Si, anche del servizio, perché non si intende con il termine packaging la sola scatola contenitore, ma l’immagine che offriamo al mercato di ciò che facciamo.

Bastano pochi secondi agli occhi dei nostri interlocutori per farsi una opinione su di noi, i nostri prodotti e i nostri servizi, quindi questa voce del marketing mix è davvero importante. Sarà questa prima immagine percepita ad influire in modo determinante sulle decisioni del nostro target e resterà impressa nella mente per lungo tempo. Ecco allora che entreranno a far parte di questa voce per esempio anche il parcheggio esterno dell’impresa, il giardino, l’ingresso, la reception e la sala d’aspetto, gli arredi e gli uffici, i biglietti da visita… insomma tutto ciò che contribuirà alla determinazione di una immagine aziendale percepita più o meno positiva.

Posizionamento

“Il modo in cui sei visto e pensato dai tuoi clienti è il fattore determinante del tuo successo in un mercato competitivo” (dal libro Positioning di Al Reis e Jack Trout)

Il posizionamento prevede l’individuazione del mercato di riferimento e il suo studio attraverso il quale andremo a collocarci nella mente e nel cuore del nostro pubblico propria là dove vogliamo. Nel mercato automobilistico possiamo distinguere un posizionamento legato alla sportività per AlfaRomeo o la sicurezza per Volvo, facendo due semplici esempi.

Nella scelta strategica del posizionamento dobbiamo tenere ben presente che nella mente del nostro interlocutore c’è un solo posto per il posizionamento del nostro prodotto/servizio, per cui dovremo di conseguenza incentrare tutta la comunicazione aziendale su quel elemento ed essere più che certi della direzione (AlfaRomeo= sportività). Il prezzo (un fondamento del marketing mix) può essere fortemente influenzato dal posizionamento della nostra attività.

Persone

Sapete cosa distingue un’azienda da una impresa? Le persone. Si perché l’azienda c’è anche a cancelli chiusi magari il giorno di Natale, l’impresa invece no: una è l’organizzazione dei beni strumentali, l’altra è l’attività che le persone svolgono per lo sviluppo del business.

La più diretta conseguenza è che i lavoratori sono l’anima del business (almeno fino ad ora). Da qui la centralità della gente per il business.

“Meglio utilizzare una scimmia per prendere una noce di cocco da un albero, piuttosto che educare un tacchino a farlo”, è una citazione impressa nella mia memoria (della quale non ricordo l’autore ahimè) che a modo suo spiega quanto sia strategico e fondamentale per il successo dell’impresa avere le persone giuste al posto giusto. Sono, e saranno sempre, i talenti a fare la differenza dentro un’attività.

Senza questa “P” del marketing mix non esisterebbe impresa, quindi andrebbe classificata decisamente più in alto a mio modesto parere.

Dopo queste 7P del marketing mix potremmo proseguire ancora (Physical Evidence, process…), la gara ad inserirne di nuove è sempre aperta, ma quelle fondamentali sono già state elencate.


Un consiglio per cominciare bene:

Se l’avvicinamento al marketing mix è dato da un’intenzione di aprire un’attività nuova o rimodernare un’impresa esistente, ma anche sviluppare un nuovo settore/prodotto con un approccio scientifico, dovreste per prima cosa tenere conto delle informazioni che il vostro mercato vi può fornire. Cosa significa? Sia che si operi nel B2B o nel B2C, i nostri interlocutori sono sempre persone, non entità astratte, e in quanto tali “interrogabili” e dispensatrici di informazioni preziose per il nostro business. Per questo è fortemente consigliabile prima di lanciarsi sul mercato sulla base di sensazioni o convinzioni personali, fare un sondaggio.

Il sondaggio è uno strumento tecnico che segue regole precise e non sono semplici domandine curiose, e il suo risultato può evitare duri colpi sia in termini economici che di frustrazioni personali e professionali. Se poi il sondaggio darà ragione alla vostra intuizione, bene! Vi fornirà comunque tutta una serie di informazioni utilissime al vostro marketing che, ricordiamolo, è una scienza e in quanto tale si basa sulle informazioni, non sulla speranza.

Se ritieni che questo articolo possa essere utile,

puoi condividerlo,


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B2B B2C (business to business _ business to consumer)

B2B B2C (business to business _ business to consumer)
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B2B B2C (business to business _ business to consumer)

Per vendere beni o servizi sul mercato non puoi evitare di fare marketing e comunicazione aziendale, per farlo è meglio intanto comprendere quelle che sono le 2 macro-categorie di imprese molto diverse tra loro: B2B B2C: una ha come clienti altre imprese, l’altra ha come cliente il consumatore finale, il Sig. Rossi.

Comprendere questa differenza all’inizio è importante, perché segnerà una via maestra per la nostra comunicazione e dato che la strada da percorrere per il successo dell’impresa è lunga, andare nella direzione sbagliata sarebbe uno spreco di energie e risorse.

Ecco il significato dei due acronimi:

– B2B (Business to business) o Business tra imprese;
– 
B2C (Business to consumer) o Business rivolto al consumatore.

A lato pratico nel B2C e nel B2B ci sono affinità di processo e di analisi, ma richiedono una diversa applicazione, andiamo a vederli bene:

Il B2B:

Il B2B riguarda i rapporti fra aziende, dove appunto i nostri clienti sono aziende e le decisioni d’acquisto saranno su una base di analisi razionali. La nostra proposta commerciale quindi sarà valutata attentamente e razionalmente, non dovremo mai aspettarci degli acquisti d’impulso (come spesso accade nel mercato al consumo B2C). I processi decisionali per gli acquisti in questo settore sono complessi e spesso riguardano diversi reparti e molte persone nei casi di imprese strutturate.

I potenziali clienti: Contrariamente a quanto avviene nell’azienda che produce prodotti di largo consumo e che può avere anche milioni di clienti, qui invece avremo probabilmente a che fare con una clientela molto ridotta, a volte di qualche decine di clienti, però di grande rilievo in termini di fatturato.

La durata della rapporto tra le aziende: Non si sceglie un partner fornitore (di materie prime o di prodotti necessari all’azienda) per cambiarlo spesso, ma spesso il rapporto è duraturo negli anni. Cambiare una fornitura richiede gli stessi lunghi processi decisionali di acquisto che possono comportare anche mesi prima che si concretizzino. Nei prodotti di largo consumo invece il cliente è volatile, spesso infedele perché cambiare con un prodotto della concorrenza è poco impegnativo.

Le relazioni e la comunicazione nel B2B:

Il marketing nel B2B è definibile come: Un insieme di gestione di relazioni, un management rivolto a creare, sviluppare e mantenere un network di contatti che assicurino la vita e la crescita dell’impresa.
La comunicazione nel B2B è di tipo razionale e informativa più che emozionale, e prepara il campo alla forza di vendita, creando o rafforzandone l’immagine positiva. Ecco che l’impresa, ottenendo un clima di fiduciasarà in grado d’influenzare la decisione d’acquisto sull’azienda cliente grazie alle sinergie tra comunicazione aziendale e forza vendita.

La reputazione, immagine dell’azienda: La conseguenza di una corretta attività relazionale con i clienti attuali e potenziali e la visibilità sul mercato di riferimento, porta a quella che comunemente si chiama reputazione o immagine aziendale. Una buona corporate reputation dà un grande valore all’impresa ed entra a far parte di quei beni intangibili dell’azienda di primaria importanza. In altre parole la reputazione potrete metterla in fattura sotto mentite spoglie, poiché il vostro brand sarà preferito e riconosciuto come garanzia di quei valori che saprete imprimergli e che il cliente cerca (sicurezza, garanzia, affidabilità e credibilità ecc..).


Il B2C:

Nel Business to Consumer per comunicare l’impresa ha più campo d’azione, molto spesso è praticamente opposta al B2B, poiché gli addetti dovrebbero seguire come un mantra il fatto che:

“Le informazioni fanno riflettere, le emozioni fanno agire!”

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Nel Business to Consumer occorre fornire le informazioni giuste per influenzare direttamente l’atteggiamento e il comportamento d’acquisto dei potenziali clienti. La differenza sostanziale con il Business to Business in termini di comunicazione, sta proprio nell’influenza maggiore che questa deve esercitare nella fase di conversione da potenziale cliente a cliente. Il marketing approfitta del fatto che qui le nostre decisioni sono più veloci e più influenzabili: ecco l’emotional Marketing! (difficilmente applicabile nel B2B)
In questo vecchio/bellissimo/raffinatissimo spot non si parla del prodotto, nessuna informazione, ma ti viene offerto un posizionamento sociale… da un marchio… con pochi euro può essere tuo… i
rresistibile, o no?

Per la tua privacy YouTube necessita di una tua approvazione prima di essere caricato.
Ho letto la Privacy Policy ed accetto


I potenziali clienti nel B2C:
 il nostro cliente sarà il consumatore finale: il Sig. Rossi che va nel mobilificio e si compra una poltrona… Poi, siccome ha fatto un grande acquisto, va al bar centrale e si beve un bel Martini perché “col divano nuovo, nuova vita!” perché “vuole sentirsi un po’ Onassis” anche lui.

Quindi tutti noi siamo potenziali clienti nel B2C e per questo veniamo “colpiti” costantemente con comunicazioni pubblicitarie per destare la nostra attenzione e quindi, col tempo, convertirci da potenziali clienti a clienti. Da un interessante studio è emerso un calcolo empirico delle impressioni pubblicitarie alle quali siamo sottoposti più o meno consapevolmente, il risultato è una media di ben 5.000 impressioni al giorno. Guardatevi intorno, siete pieni di marchi: tutto conta, la mente ricorda e il marketing lo sa bene, lo sa molto meglio del Sig Rossi che si gode il suo Drink aspettando Charlize Theron che non arriva.

il prodotto che non si vede o non c’è: non si compra!

business to consumer B2C

È il fondamento della comunicazione commerciale, La si fa per ottenere maggiori volumi di vendita, incrementare le quote di mercato, migliorare la notorietà e l’immagine del prodotto verso i consumatori. Senza quest’attività qualsiasi prodotto o servizio, anche se valido, di qualità ed economico, faticherebbe ad ottenere un’adeguata diffusione. La regola vale sempre, anche in presenza di una potente rete vendita fatta magari di decine, centinaia di punti vendita.

La comunicazione commerciale per molto tempo si è concretizzata con la sola pubblicità above the line (stampa, tv e radio), poi l’evoluzione del marketing ha sviluppato nuove leve:

LA PROMOZIONE – si configura anche come una politica di sconti o regali;

VENDITE PERSONALI – politica di distribuzione;

RELAZIONI PUBBLICHE – politica di relazioni;

DIRECT MARKETING  – politica del one to one;

SPONSORIZZAZIONI – utili a coinvolgere terze parti.

Da tempo la parte più interessante innovativa e dinamica del marketing (B2C sopratutto) è su internet, dove il consumatore si rivolge agevolmente per informarsi prima di qualsiasi acquisto, anche il più banale, se non per fare acquisti direttamente… Ci siamo arrivati anche in Italia, ma non è chiaro quanto sia un grande affare per la collettività.

Ognuno di questi strumenti dà la possibilità di lavorare sinergicamente con altre attività di marketing, permettendo di comunicare su più livelli promuovendo, oltre all’immagine del prodotto, anche l’immagine dell’azienda e la sua identità.

Riassumendo la comunicazione nel B2B B2C:

Nel B2B la comunicazione è in sostanza di tipo razionale, sono aziende che lavorano con altre aziende, quindi pochi racconti e molte informazioni. Nel B2C le cose sono molto diverse e più sofisticate in quanto le scelte possono avvenire secondo diverse modalità: effettuate in modo intellettuale/razionale o affettivo/sensoriale.

Un’analisi del prodotto/servizio che offri per avere un giusto approccio alla comunicazione aziendale, la puoi ottenere seguendo il link che segue: ti permetterà di collocarti nella fascia decisionale giusta del tuo potenziale cliente: comunicazione-aziendale/come-cominciare

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Strategia di Marketing

Strategia di Marketing
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La Strategia di marketing

Partiamo dal presupposto che la speranza non è una strategia!. Probabilmente sappiamo anche che nel fare marketing ciò che funzionava 2 anni fa oggi è superato perché i mercati sono in rapida e costante evoluzione. Niente è facile oramai, gli anni’70 sono passati da lungo tempo e chi rimane aggrappato a ciò che funzionava paga pegno (anche chi lavora con lui!).  Quindi è necessario essere costantemente aggiornati e avere una strategia di marketing che andremo a riassumere nel nostro piano marketing.

Si, quando le cose vanno bene è facile sedersi, ma è un errore grave, dobbiamo invece investire e studiare nuove soluzioni per far crescere ancora di più il business e per evitare l’erosione di quote di mercato da parte dei competitor agguerriti che non dormono mai.
Quando siamo noi invece a inseguire, un piano marketing ci serve allo stesso modo, per tenere delineata quella che è la strategia da percorrere per ottenere gli obiettivi che ci siamo prefissati e che abbiamo descritto nel nostro documento.

Alla base del nostro marketing ci sono tutte quelle informazioni utili al business. Una volta stabiliti quelli che sono gli indicatori da tenere monitorati (KPI) dovremo controllarne l’andamento verificando anche l’efficacia di singole azioni di marketing.  Una corretta strategia di marketing ci permetterà anche nei momenti di mercato in contrazione di avere una preparazione adeguata e spalle abbastanza grandi da farvi fronte.

Può accadere che un prodotto o servizio arrivi al successo perché si creano in maniera più o meno spontanea/casuale le condizioni per il successo… poi però non essendo chiara l’alchimia che ne ha decretato la vittoria sul mercato, sarà pressoché improbabile riuscire a replicarne le condizioni per nuove iniziative di business… Mi è capitato di riscontrare questa circostanza più di una volta. Cosa mancava? Una strategia di Marketing, un avvicinamento scientifico al mercato. La strategia di Marketing deve esserci, deve essere scritta e va fatta secondo regole precise.
Per esempio… una semplice domanda: sapresti dirmi in che modo ti sei proposto finora per avere successo sul mercato?

  • Qualità superiore;
  • Innovazione;
  • Lavorando su nuovi mercati;
  • Politica di prezzo;
  • Branding …

Questa è solo una delle 80 domande preparate per cominciare il lavoro di messa a punto della Strategia di Marketing.

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Va detto che spesso le piccole e medie imprese hanno come unico fine il fatturato di fine anno, così cercano di raggiungerlo in tutti i modi, poi “anno nuovo si vedrà”. Oggi invece vince chi guarda più lontano, il fatturato di fine anno deve essere il risultato di una pianificazione di attività e di obiettivi previsti in vari passaggi. Per questo è opportuno fare un piano marketing a breve, uno a medio e uno a lungo termine (qualche anno), tutti sempre rivedibili ed adattabili alla volatilità del mercato che noi conosceremo bene grazie al sondaggio (vedi più avanti).

Oggi anche il piccolo negozio sotto casa può ragionare in modo strategico grazie alle nuove possibilità digitali, con un minimo investimento per esempio su Google Adwords. Le imprese con decine di dipendenti dovrebbero invece essere obbligate a farlo, in funzione anche di una responsabilità sociale acquisita.

Il Cliente:

Oh! Il mercato… chi compone il nostro mercato lo sappiamo? Abbiamo profilato il nostro cliente tipo così da poter sviluppare una comunicazione mirata proprio a loro? Bene, siccome è il soggetto al quale ci rivolgiamo con il nostro business, dobbiamo studiarlo approfonditamente. Un manager, un bambino e una casalinga richiedono ovviamente approcci molto diversi per riuscire a trasferire le nostre comunicazioni, sia per i contenuti da trasmettere, sia per i mezzi utilizzati (Vale sia per il B2B che per il B2C, nel primo caso dovremo profilare non delle persone ma delle imprese, come potrai approfondire nel link).

Il Sondaggio:

sondaggio strategia marketing

Adesso che abbiamo “schedato” il nostro cliente o potenziale cliente, dovremo interrogarlo per ottenere una serie di informazioni sulle sue necessità, perché “possiamo anche inventarci il prodotto/servizio più innovativo al mondo, ma se il nostro target non lo ritiene interessante… non si fattura!“. Il sondaggio ci darà una serie d’informazioni su ciò che il nostro potenziale cliente vuole, e ci dirà anche quali parole magiche utilizzare per comunicare con lui, sia che si tratti di un consumatore finale (persona) o un’impresa.
Conoscere le esigenze del cliente è di fondamentale importanza e il sondaggio probabilmente aprirà un mondo diverso da quello che molti imprenditori conoscono. Troppo spesso ci si fida di proprie sensazioni o convinzioni non verificate sul target e questo può costare caro, molto più delle energie che il responsabile marketing, o chi per lui, impiega nel fare il sondaggio.

Fino qui abbiamo detto che:

il Marketing è veloce e lo è anche il business: dobbiamo tenere aggiornato il nostro piano marketing;
– Occorre un piano marketing a breve, uno a medio e uno a lungo termine;
– Dobbiamo conoscere bene il cliente/potenziale cliente (target);
– Occorre un sondaggio.

Conoscere a fondo il nostro cliente acquisito ci favorirà nella realizzazione di strategie di business basate sul cross-selling (che puntano ad un’ulteriore/successiva vendita con caratteristiche di prodotto completamente diverse) oppure strategie di up-selling (che mirano a una vendita successiva di maggiore importanza). Conoscenza: è la parola chiave per il marketing, grazie a questa avremo un vantaggio competitivo importante e accessibile alla maggior parte delle imprese che intendono investire per restare nel business da protagonisti oggi e domani.
Certi imprenditori affermano: “lo so io cosa vuole il cliente: vuole solo un prezzo basso!” La risposta a quest’affermazione può essere soltanto: “Apple e Ferrari allora non sanno cosa stanno facendo.” O forse, l’imprenditore, per non investire in ricerca e sviluppo o per non distinguersi adeguatamente sul mercato si sta solo avvitando nella spirale suicida basata sul prezzo più basso, pur di ottenere delle vendite istantanee? Spesso è così. Un invito alla riflessione per i caduti.

Per una strategia di Marketing non casuale ma tecnica, ci sono delle tappe che devono essere rispettate:

a) Ricerca:
Con la ricerca si analizzano le opportunità che il mercato ci offre, valutandone la convenienza per l’ingresso in un business. Senza questa fase è facile commettere quegli errori fondamentali che portano a un flop.

b) Posizionamento:
Con i dati che scaturiscono dalla ricerca dobbiamo adesso stabilire quale segmento di mercato vogliamo raggiungere… per esempio, se facciamo pasta alimentare: Vogliamo essere salutisti con la pasta integrale? O lavoriamo solo grano italiano no OGM? Utilizziamo solo mano d’opera artigianale italiana? Facciamo prodotti senza glutine? ecc… Queste scelte saranno determinanti per l’attività, poiché ne caratterizzeranno la proposta unica di valore (UVP) che la nostra impresa proporrà sul mercato.
La scelte effettuate dovranno, naturalmente, tenere in massima considerazione il profilo del nostro cliente potenziale: il target, che già conosciamo con il sondaggio.

c) La tattica:
Fin qui sappiamo cosa vuole il mercato, chi è il nostro target e il tipo di posizionamento che intendiamo dare alla nostra impresa sulla base di una profittabilità di prodotto che abbiamo ritenuto adeguata. Adesso lavoreremo sulla strategia di marketing da attuare per ottenere i risultati richiesti: lavoriamo con il marketing mix (marketing mix: vedi articolo qui)

IL MARKETING MIX  cha andremo ad elaborare si compone di 4 elementi:
– PRODOTTO
– PREZZO
– PUNTO VENDITA (o distribuzione)
– PROMOZIONE (o pubblicità)

La messa a punto che faremo con queste 4 variabili fondamentali definirà le nostre azioni che andremo a mettere in atto per essere vincenti sul mercato. Se state pensando che sia complicato… in parte avete ragione, ma la differenza tra quello che probabilmente state già facendo e quello che state leggendo sta nel fatto che qui è codificato e non casuale o dettato da sensazioni personali del manager. Voglio dire che sicuramente avrete già un prodotto/servizio, con un prezzo, presente sul mercato in negozi o con una rete vendita e farete sicuramente una qualche forma di promozione e pubblicità… il punto è come questa delicata attività viene realizzata, sulla base di quali informazioni, con quali mezzi con quali risultati (risultati poi misurati?). Se invece non vi sembra complicato allora ne siete già consapevoli e lo state già facendo. Meglio così, siete sulla strada giusta.

Una sottolineatura: Sopra ho scritto “risultati poi misurati?” perché le azioni che devono portare alla crescita del business aziendale vanno tenute monitorate, talvolta è necessario modificarle per raggiungere gli obiettivi prefissati. Un responsabile marketing deve scegliere i parametri giusti (KPI) per valutare l’efficacia del piano marketing ed il ritorno ottenuto dagli investimenti (ROI – return of investment).

Avvicinarsi al Marketing:

Ho realizzato un questionario che faccio personalmente agli imprenditori. Questo permette in modo molto rapido di misurare il polso dell’impresa su alcuni temi fondamentali, in particolare l’approccio che ha l’impresa al mercato. Mi agevola molto ed è una mia peculiarità poiché l’ho sviluppato personalmente, con questo posso identificare criticità più o meno grandi prima di procedere con il lavoro di marketing e comunicazione aziendale. Le informazioni giuste creano le basi del successo. In tutto circa 80 domande, 45 minuti di domanda/risposta, e si comincia.
(Se vi chiedessi:  “l’anno scorso quanto avete investito in attività di marketing?” sapreste rispondermi?  È un’informazione strategica eppure in pochi sanno rispondere.)

Questo articolo ha lo scopo di descrivere l’approccio alla strategia di marketing che svolgo con le PMI. La descrizione è volutamente semplicistica, ci tengo ad essere compreso da tutti, non me ne vogliano i colleghi che lavorano presso grandi multinazionali. Vi racconterò in seguito l’attività di web marketing, grafica e copywriting che sviluppo contestualmente.

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Il Business Process Management al servizio dell’outsourcing: strategie di gestione aziendale vincenti

Il Business Process Management al servizio dell’outsourcing: strategie di gestione aziendale vincenti
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Il Business Process Management al servizio dell’outsourcing: strategie di gestione aziendale vincenti

La gestione dei processi aziendali (Business Process Management)  è una disciplina che comprende l’analisi, la modellizzazione, l’implementazione, l’esecuzione, il monitoraggio/controllo e il miglioramento continuo dei processi aziendali. Metodi e modelli sviluppati per questa attività di gestione offrono assistenza ad ampio raggio e potenziale per la maggior parte delle organizzazioni, anche se, una consapevolezza generale di esse sembra inesistente in molte organizzazioni. Infatti uno studio empirico, condotto nell’area mitteleuropea di lingua tedesca, ha raccolto dati utili su questioni relative agli investimenti attuali e futuri nella gestione dei processi aziendali, comprese le iniziative nel campo dell’outsourcing dei processi aziendali. L’analisi di tali dati consente l’interpretazione critica dell’attuale punto di vista di questa disciplina aziendale, oltre a fornire alcune nuove interessanti informazioni sulle applicazioni in uso, il livello di maturità, i benefici realizzati e le opportunità di esternalizzazione. Esiste un futuro brillante per la gestione dei processi aziendali, purché venga superato l’ostacolo più significativo, l’incapacità di collegare la disciplina alla strategia organizzativa. Il percorso per raggiungere questo obiettivo risiede nello sviluppo di un sistema di misurazione delle prestazioni affidabile ed efficace che, per la maggior parte, sarà unico per ogni organizzazione. Per tale scopo sono nate e hanno visto la loro fortuna aziende fornitrici di questi nuovi servizi integrati, supportando l’attività strategica e il core business di gruppi privati di grandi e medie dimensioni, ma anche enti pubblici e sanità.

Gestire il core business tramite l’ERP

Molte organizzazioni hanno implementato soluzioni di gestione dei processi aziendali abilitate dai sistemi di pianificazione delle risorse aziendali (ERP). Più recentemente, le organizzazioni hanno concentrato le proprie strategie sui vantaggi aggiuntivi che sono realizzabili aumentando ERP con estensioni di clienti e fornitori. La gestione flessibile dei processi, come richiesto dalle moderne relazioni cliente / fornitore, risulta troppo costosa per essere implementata tramite soluzioni ERP tradizionali. Dato che il moderno vantaggio competitivo è misurato in termini di flessibilità dei processi aziendali, i manager devono affrontare la prospettiva scoraggiante di cambiare le configurazioni ERP su base continua. Tali requisiti di rapido cambiamento di processo vanno oltre le capacità finanziarie della maggior parte delle aziende, che preferiscono lasciare invariata una configurazione ben collaudata. In che modo quindi le aziende riescono a implementare cambiamenti di processo rapidi per supportare i loro nuovi modelli di e-business?

Il mercato sta evolvendo sempre più velocemente e la necessità di rimanere al passo con i tempi è direttamente correlata al fattore competitività nei confronti dei concorrenti.

Proprio per questo può intervenire in aiuto delle imprese l’outsourcing, specialmente nel comparto IT. I servizi di Business Process Outsourcing (BPO) portano innovazione tecnologica a vantaggio della produttività dell’azienda, in quanto permettono l’esternalizzazione di tutta una serie di attività che portano via tempo e risorse al core business aziendale.  Questa pratica sta diventando sempre più percorsa e diffusa nelle aziende che vogliono mantenere alto il proprio profilo rispetto alla concorrenza.

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Outsourcing dell’Area IT e dell’area HR

Qualunque processo o risorsa che richieda una considerevole quantità di risorse o personale può e deve essere esternalizzato per liberare risorse interne necessarie ai processi primari del business principale e snellire il BPM. L’avanzamento della tecnologia è così rapido che non permette di aggiornare in modo efficiente le competenze e l’esperienza necessarie per rimanere in possesso di un comparto IT costantemente all’avanguadia. Per questo l’outsourcing delle risorse IT diventa fondamentale. In questo contesto l’esternalizzazione entra i gioco come un salvavita. È noto che questa pratica riesca a far tagliare alle attività circa un 60% dei costi. La scelta di esternalizzare il reparto delle risorse umane ad esterni che forniscano un personale qualificato e competente può essere un passo decisivo per un’azienda. L’alleggerimento permetterà ai singoli settori di concentrarsi su lavori e progetti più di loro competenza, ottimizzando al massimo l’organizzazione e le dinamiche aziendali interne. La scelta di fare affidamento su terze parti per il management dei reparti IT e dei E-digital Services  sistemi, network, sicurezza e hardware –  nonché delle HR  quindi della selezione, assunzione, valutazione del personale – permette di alleggerire il lavoro dei comparti interni e guadagnare in termini di tempo e produttività.

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LTV – LIFETIME VALUE, cos’è e come si calcola

LTV - LIFETIME VALUE, cos'è e come si calcola
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LTV – LIFETIME VALUE, cos’è e come si calcola

L’

indicatore LTV o LIFETIME VALUE o anche CUSTOMER LIFETIME VALUE (CLV), è il termine con il quale si indica il VALORE MEDIO DEL SINGOLO CLIENTE dell’impresa. Quindi è un valore medio tra tutti i clienti, non riferito ad ogni singolo cliente.

Il LIFETIME VALUE (LTV) è un valore importante per la tua impresa:
lo conosci? lo sai calcolare? perché è importante?

Se non lo conosci devi sapere che ti servirà per determinare quanto possiamo/dobbiamo esporci economicamente per acquisire un cliente, che è una voce rilevante del budget di spesa per l’impresa: spendere è facile, per investire ed avere un ROI adeguato occorre fare bene i calcoli, per questo è importante.

Per conoscere questo valore dobbiamo tenere misurati alcuni parametri:

– (a) Il valore medio che otteniamo dalla vendita dei nostri prodotti/servizi;

– (b) Il numero medio dei prodotti/servizi che vendiamo al cliente in un anno;

– (c) La durata media del rapporto impresa/cliente espressa in anni.

Con questi dati faremo: (a x b) x c = LTV (Customer Lifetime Value)

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Ecco un esempio del calcolo:

– Ciò che vendiamo al mercato produce un fatturato medio di 100 euro;

– La quantità di prodotti/servizi venduti diviso il numero dei clienti in un anno è 50;

li moltiplichiamo e otteniamo 5.000 euro che andiamo poi a moltiplicare ancora per il numero di anni che manteniamo il cliente fidelizzato, diciamo 3, quindi il CLV in questo caso è uguale a 15.000 euro:

(100×50) x 3 = 15.000.

Questo è il valore medio del nostro cliente, sul quale dobbiamo fare le opportune riflessioni sui prossimi investimenti da fare per acquisirne altri.

Lavora con metodo, il tuo business ne gioverà.

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Come calcolare il Break Even Point

Come calcolare il Break Even Point
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Break even point (BeP)

C


ome calcolare il
Break Even Point? (o punto di pareggio in italiano) è un metodo di calcolo che indica quel valore dove i costi vengono pareggiati dalle vendite.
Al break even point
non vi sono quindi guadagni ma neanche perdite.

Considerando che le imprese per loro natura sono orientate al profitto, qual è lo scopo di questo strumento? A cosa serve sapere quando raggiungiamo il punto di pareggio? Come si calcola? Andiamo avanti e scopriamolo.

Lo scopo del break even point risponde alla domanda dell’impresa: quanto devo vendere prima di cominciare a produrre profitti? La risposta si manifesterà attraverso un grafico, dove, inserendo i dati nella sua tabella, otterremo il numero di prodotti da vendere per poi cominciare a guadagnare, o il fatturato a cui giungere per cominciare a guadagnare, o una data di calendario dalla quale cominceremo a guadagnare; questo dipende dal tipo di informazione che ricerchiamo o dal tipo di software o foglio di calcolo che utilizzeremo. Il break even point è sicuramente un KPI d’interesse per il management dell’impresa.

Online si possono trovare molti template con fogli di calcolo excel con formati diversi di grafici e di dati. Essendo ogni impresa praticamente unica e le nostre esigenze probabilmente diverse da chi ha progettati, trovare quello giusto che si rivelerà perfetto per ogni esigenza non è così scontato, dovremo quindi prepararci a modificare qualcosa nel file che andremo a scaricare e nel caso occorrerà una conoscenza avanzata di excel (troverere poi un link dove trovare molti template tutti insieme).

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Come calcolare il break even point?

Per arrivare ad ottenere il nostro break even point occorre conoscere alcuni dati dell’impresa:

COSTI FISSI
(quei costi che non sono legati alla quantità di produzione: quali affitti, stipendi, ammortamenti, assicurazioni…);

COSTI VARIABILI
(sono i costi che aumentano con l’aumentare della produzione quali: materie prime, fornitori di semilavorati, energia… );

RICAVI
(il frutto delle vendite);

N° PRODOTTI
(venduti o in previsione);

La tabella che andrete a compilare sarà simile a questa che riporto sotto, con le colonne intestate a colori che entreranno a fare del nostro grafico che vedremo subito dopo:

break-even-point-tabella

I dati inseriti precedentemente in tabella, li vedremo riprodotti graficamente, qui sotto, dove il colore delle linee corrispondono ai colori delle colonne in tabella:

break-even-point-grafico

Il grafico rende intuitivo il risultato del calcolo del punto di pareggio, in quanto lo possiamo vedere dall’incrocio tra la linea dei costi totali azzurra (costi fissi + variabili) e i ricavi, rossa.
Nella ascisse vedrete alla verticale del numero 400 che fa riferimento ai prodotti, c’è proprio il break even point.
Anche se meno intuitivo, lo troveremo anche nella tabella nella sua colonna più a destra dove le vendite, a quota 400 prodotti, danno un guadagno zero, né positivo né negativo.
Da questo momento in poi le vendite cominceranno a produrre utili.

Questo rappresenta un caso tipico per un’impresa mono-prodotto, per quelle che producono varie linee di articoli i calcoli si complicano un po’ poiché entrano in gioco più variabili, ma seguendo questo link potrete trovare molti template e magari qualcuno farà al caso vostro: http://templatelab.com/break-even-analysis

In conclusione, ricordiamoci sempre che il marketing è una scienza e quindi si basa su dati reali o esprime proiezioni, ma sempre sulla base di dati di interesse. Per questo uno step davvero importante per una corretta gestione dell’impresa è l’individuazione dei KPI che ci servono e teniamoli monitorati con una cadenza regolare. Uno di questi può essere il Break even point.

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Fare un Brand di successo

Fare un Brand di successo
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Fare un brand di Successo

Sul mercato esistono troppi prodotti e servizi adatti ad ogni esigenza, lo sappiamo bene, per questo è talvolta complicato per il cliente sceglierne uno: il sovraffollamento di offerte troppo simili rendono indistinguibile l’offerta in un mercato omogeneo. In una tale situazione come distinguersi? Come emergere? Cosa può fare la differenza? Sicuramente un un aiuto importante ci viene da quei valori intangibili che abbiamo realizzato nel tempo e che avremo trasferito al marchio, costruendo così la nostra reputazione e immagine aziendale  (Le differenze tra MarchioBrand sono descritte in questo articolo: Brand,  marchio, logo, emblema, ecco le differenze).

Quindi fare un brand di successo (in italiano MARCA) è un sistema efficace per distinguersi sul mercato, certo, ed ecco spiegato perché aziende importanti investono grandi capitali nell’attività di creazione, gestione e sviluppo del brand (attività di branding). Un Brand forte può permettersi anche di alzare il prezzo senza perdere quote di mercato, l’investimento si ripagherà anche così.

unicità

Ai massimi livelli investire sul Brand significa soprattutto dare un valore aggiunto al proprio titolo in borsa, il quale risentirà meno delle speculazioni negative sul mercato finanziario, tenendo alto il valore del titolo e offrendo maggiori dividendi agli azionisti. Non è un dettaglio, l’economia finanziaria è molto più importante in termini economici dell’economia reale. Oggi è così, ma questo sarà lo spunto per un prossimo articolo.

I valori del Brand:

I valori che il brand esprime sono il collegamento tra la nostra impresa e i clienti, i quali si riconosceranno in essi. Qualora non fosse così dovremo identificare meglio il nostro target con un sondaggio professionale preparato a tale scopo.

Per fare alcuni esempi pratici di valori del brand nel settore automotive possono essere: Volvo = sicurezza, Volkswagen = qualità, AlfaRomeo = sportività … Continuando ad analizzare ogni casa automobilistica, potremo vedere che ognuna di queste è protesa ad emergere e farsi riconoscere in valori unici, non occupati dalla concorrenza (anche più di un valore).

Un’azienda che investe nel valore della marca crea delle aspettative sul proprio target, per questo deve mantenere una stretta coerenza con i valori che sposa e che il nostro pubblico a questo punto pretende. Tradire le aspettative può costare molto caro, pensate al danno d’immagine derivato dalle centraline deliberatamente truccate messa in atto dal management Volkswagen: oltre a tutti i costosissimi risarcimenti, dovrà essere ricostruita la credibilità di un marchio che puntava sulla qualità. Si noti come un evento negativo che di fatto ha riguardato solo un motore diesel euro5, abbia colpito in modo determinante tutta l’impresa… Le vendite non hanno subito un calo drammatico, ma il titolo in borsa ha ridotto il suo valore della metà. La perdita di credibilità del brand ha fatto di riflesso un danno molto più grande del problema iniziale sul motore diesel. Saranno necessari investimenti giganteschi e molti anni di lavoro per ricostruire la reputazione del brand, sapendo che comunque resterà sempre una cicatrice, anche quando i motori diesel non esisteranno più.

MARCHIO PROFESSIONALE

È chiaro a questo punto che il BRAND ha un valore di primaria importanza per l’impresa, vediamo allora di quali parti si compone:

Elementi tangibili:

– MARCHIO;
– PUBBLICITÀ;
– AZIENDA (strutture);
– PERSONALE/management;
– CLIENTELA (quantità, qualità e fedeltà).

Elementi intangibili:

– VISION (l’insieme degli obiettivi di lungo periodo che il Management vuole definire per la propria azienda);
– MISSION (è la “dichiarazione di intenti; è il suo scopo ultimo, la giustificazione stessa della sua esistenza e al tempo stesso ciò che la contraddistingue da tutte le altre.);
– PROPOSTA UNICA DI VALORE (unique value proposition – E’ ciò che rende unico ed irripetibile il tuo prodotto o servizio. Può essere una nuova idea presentata al mercato, ma anche un modo diverso di di proporre un prodotto esistente. La proposta unica di valore caratterizzerà fortemente il successo della tua impresa.);
– SERVIZIO;
– ESPERIENZA;
– QUALITÀ PERCEPITA dal mercato;
– la NOTORIETÀ sul mercato;
– i BREVETTI in possesso.

È quantificabile il valore dei beni intangibili dell’impresa?”
” 
Si, e possono raggiungere anche il 60% del valore dell’intera azienda.

Di tutti i fattori che concorrono alla costruzione del nostro Brand, uno su cui è bene concentrarsi dall’inizio è la “proposta unica di valore” che ci identifica e ci differenza dalla massa di proposte presenti sul mercato. Per fare questo dobbiamo conoscere bene il nostro TARGET, quindi ancora una volta è opportuno ribadire che dobbiamo sapere bene a chi ci rivolgiamo confezionando al meglio la nostra proposta sulle esigenze dei clienti (nuovi o da fidelizzare) conoscendone le aspettative (dobbiamo essere customer oriented!).
Come si fa??? Ancora una volta con un sondaggio che vedremo in un prossimo articolo.

Un buon lavoro di branding può arrivare al punto straordinario in cui i clienti si identificano nell’impresa stessa… Avete presente gli adesivi della mela dietro alle automobili? Per un periodo l’ho avuto anch’io.

Ma torniamo con i piedi per terra, alla nostra impresa…

Quindi per avere un Brand di successo bisogna:

a) sapere cosa chiede il mercato (sondaggio)
b) mantenere la promessa data (vedi mission sopra);
c) avere un’identità e cultura diversa dai competitors (brand identity unica);
d) proporre valori nei quali il target si possa riconoscere;
e) mettere a punto una strategia di comunicazione efficace.

Per ottenere la preferenza verso i nostri prodotti dai potenziali clienti dobbiamo avere una buona qualità percepita e una adeguata notorietà, per questo dobbiamo curare il nostro marchio attraverso l’attività di branding.

MARCHIO PROFESSIONALE

Fare branding significa anche tenere monitorato il risultato delle nostre attività poiché una correzione all’attività pianificata può sempre rendersi necessaria.
La notorietà della marca (brand awareness) va verificata sul nostro target di riferimento così come l’immagine della marca (brand image). Brand awareness e brand image non vanno confuse poiché un marchio può essere molto famoso ma non necessariamente visto in modo positivo.

Un grafico può fare un marchio in breve tempo, ma una marca non si costruisce in 2 giorni!
Se avete un’impresa, rimandare ancora l’attività di branding significa lasciare il mercato ai competitor, cominciate adesso e fatelo in modo scientifico, cominciamo!

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Rete d’imprese come sistema di successo

Rete d’imprese come sistema di successo
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Rete d’imprese: fare sistema per crescere

L

e stagioni del business sono evidentemente più corte e soggette a forti perturbazioni rispetto a qualche decennio fa.

Quando ci fu l’avvento della televisione, l’industria che cercava il grande successo doveva fare pubblicità lì, rendendo il prodotto noto alla massa con investimenti pubblicitari importanti che erano quasi una garanzia di successo in termini di fatturato e notorietà. Era matematico, era infinitamente più semplice, c’era posto per tutti, le imprese nuotavano in un mare di opportunità.

Abbiamo imparato dalle nostre imprese che il trascorrere del tempo ha compresso i mercati parcellizzandoli, aumentato i costi complicando l’accesso alle piccole medie imprese a quelle attività che sono diventate necessarie per prosperare, talvolta anche solo per sopravvivere.

Difronte ad un problema di sistema così importante, per affrontare le nuove necessità imposte dalla concorrenza nazionale ed internazionale, le imprese hanno cominciato a parlare tra di loro, a collaborare.

“Non è la specie più forte o la più intelligente a sopravvivere, ma quella che si adatta meglio al cambiamento.”

Charles Darwin

Cos’è la rete d’imprese

La rete d’imprese è, in estrema sintesi, un luogo d’incontro tra imprese, dove avvengono scambi di informazioni, si sviluppano sinergie, ci si conosce confrontandosi e si fanno affari.

“Tanti piccoli insieme fanno la forza” questa è stata in principio la visione dei pionieri e, pur essendo ancora valida l’affermazione, vediamo che fare rete è sempre più un “must” non solo per i piccoli imprenditori ma anche delle medie e grandi imprese: i mercati sono diventati globali e solo pochi giganti possono camminare da soli, almeno offline.

Proprio la globalizzazione è stata l’elemento scatenante di questa forma di aggregazione.

Perché fare rete

outsourcing internazionale

Dicevamo che la globalizzazione ha scosso le fondamenta delle PMI le quali, in molti casi, hanno dovuto fare delle importanti scelte esistenziali tra chiudere, fondersi, venire acquisite… oppure… fare rete! Facendo rete, le diverse realtà possono unire le forze, mantenendo tuttavia quel carattere identitario unico di ciascuna impresa, restando sul mercato in modo competitivo, con nuovi partner e una visione più ampia del business.

Di fatto un ricorso a questa aggregazione è sempre più praticato e rappresenta un vantaggio competitivo per le imprese direttamente interessate, ma anche per il sistema economico del paese, in particolare per il nostro che sappiamo essere ricchissimo di PMI.

Un esempio pratico delle possibilità che offre questa cooperazione?
Si immagini ad esempio le difficoltà di sviluppo per un progetto vincente di una PMI, magari un dispositivo tecnologico rivoluzionario. La realizzazione di un prototipo richiederebbe un reparto ricerca e sviluppo interno, costosissimo, proibitivo per i più… Però insieme, più imprese del medesimo settore o della filiera, potrebbero cooperare, aprire un reparto in comune con i migliori ingegneri e competere con i più grandi, condividendo gli investimenti, i brevetti, e crescendo insieme. Va da sé che gli individualismi sarebbero fuori luogo.

 

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Sapere: per fare e per competere

Gli imprenditori che oggi sanno cogliere le opportunità che offre il mercato, o addirittura proporne di nuove, lo devono ad una certa propensione al cambiamento: sono coloro che non aspettano gli eventi, ma cercano le informazioni utili alla propria attività e le metabolizzano per creare nuove iniziative o modificare la propria direzione (in America Steve Jobs, In Italia penso a Marchionne). Le informazioni quindi come strumento sul quale costruire delle strategie, ecco che si spiegano le enormi attività sviluppate da potenti realtà quali televisioni, industrie, governi, i quali dispongono dei capitali necessari per ottenere tutti i dati utili da tradurre in azioni.

Con la Rete d’imprese, possiamo pensare di giocare alla pari con i Top Player o, per lo meno, entrare in gioco. La condivisione del Know-how, la ricerca della crescita aziendale, professionale e personale, attraverso questi moderni hub che sono i network di imprese, si concretizza in un ambiente fertile e creativo.

Cogliere le tendenze

Quando Philip Kotler ha per primo codificato il Marketing, questo si componeva delle 4 classiche voci tuttora validissime (prodotto, prezzo, distribuzione, promozione) le quali hanno resistito al tempo implementandosi per lavorare meglio sulle nuove necessità/opportunità del mercato: sono quindi apparse in tempi diversi anche “People, Process, Phisical Evidence” e l’elenco potrebbe continuare. Partecipare ad una rete di imprese significa essere costantemente aggiornati e al passo con i tempi, ma soprattutto maturare una visione che va oltre all’orizzonte molto breve evidente ai più. Questo è un valore d’importanza strategica per qualsiasi impresa.

Quali sono le strutture

La rete di imprese è un’organizzazione che si occupa di riunire più realtà dello stesso campo, per cui esisteranno reti d’imprese esclusivamente per il settore turistico o solo per quello finanziario ecc… La rete di imprese tuttavia può essere anche sviluppata come luogo di aggregazione per attività diverse. Esistono quindi organizzazioni che offrono questi servizi a più tipologie d’impresa all’interno della stessa realtà, aggregandole per tipo di attività. Sono venuto in contatto con il Sig. Giordano Agrizzi, Presidente di AD HOC CONSILIA nel Nord Est. Questa struttura per esempio raggruppa 20 settori diversi di Aziende e sviluppa la sua attività con un accento particolare sul valore della Persona, poiché la crescita professionale non può prescindere dalla crescita personale, fatta di consapevolezza e capacità dell’individuo. Onestà, ambizione, coraggio e determinazione sono i valori umani che vengono promossi agli imprenditori al suo interno per sviluppare una collaborazione vera e proficua fondata su una concezione del business brillante e di lunghe vedute.

Siamo dentro ad una ulteriore nuova stagione caratterizzata da due tendenze opposte che dovranno convivere, una è l’accelerazione dello sviluppo tecnologico, l’altra è una nuova centralità della Persona, l’unico “elemento” che fa di una azienda fatta di cose e numeri una Impresa fatta da attività umana e creativa.

Le RETI DI IMPRESE sono fondate sulla consapevolezza che il mercato è sempre una sfida ma anche una opportunità da cogliere insieme così da rendere tutto più disponibile, sicuro e duraturo per qualsiasi business.

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Outsourcing: perché non “fai fuori” il tuo business?

Outsourcing: perché non "fai fuori" il tuo business?
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Outsourcing o Esternalizzazione d’impresa

L’outsourcing (esternalizzazione) è una pratica comune per le imprese moderne che consiste nel delegare esternamente parte della attività aziendale rivolgendosi a fornitori.
Può essere esternalizzata la produzione di un prodotto per la vendita o parte di esso, ma anche un servizio utile all’attività come ad esempio il marketing in outsourcing che ha un valore strategico indispensabile all’impresa, ma che non è oggetto del business.

Cosa significa fare Outsourcing (o esternalizzazione)

Fare outsourcing significa utilizzare una risorsa esterna per lo svolgimento di una attività utile allo svolgimento della nostra impresa. Si tratta di un termine che assume sfumature diverse secondo le scuole di pensiero: per alcuni deve necessariamente indicare un rapporto quasi di “dipendenza dal fornitore” poiché internamente non si potrebbe eseguire il lavoro sviluppato all’esterno, secondo altri punti di vista esternalizzare significa ottenere la produzione di beni o l’erogazione di servizi sempre da fornitori esterni, ma che per know-how potrebbe essere prodotto anche internamente. In entrambi i casi chi si rivolge all’outsourcing diventa cliente di un’altra impresa per svolgere la propria attività (Business to Business o B2B).

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Chi fa uso dell’Outsourcing

Indipendentemente dalle dimensioni, dal settore e dal tipo di attività svolta, l’outsourcing è utilizzato (più o meno consapevolmente) da praticamente tutte le imprese.
Ci si potrebbe domandare: “come potrei inconsapevolmente non sapere se esternalizzo parte del mio lavoro?” Beh, basta pensarci, per esempio l’impresa di pulizie che si occupa delle scale dove sono io, per la contabilità utilizza un commercialista professionista: immaginate se ogni microimpresa dovesse tenere al suo interno un addetto contabile, molte di queste si estinguerebbero. Per cui io esternalizzo la pulizia delle scale, l’impresa delle pulizie avrà in outsourcing la contabilità presso un commercialista il quale, probabilmente, delegherà esternamente la pulizia delle scale e così via…

Lo sviluppo dell’outsourcing

L’esternalizzazione ha avuto il suo sviluppo più importante quando i mercati si sono saturati e le imprese si sono scoperte sovradimensionate, solo negli anni ’90 i manager hanno cominciato a farne un uso sistemico dell’ousourcing valutandone gli impatti sulla propria attività. Da allora questo tipo di scelta è diventata obbligata poiché permette una maggiore competitività sui mercati grazie ad una strategia d’impresa più flessibile con politiche di alleggerimento della logistica e una minore presenza di personale interno.

I confini dell’esternalizzazione

L’outsourcing (o esternalizzazione) non conosce confini geografici e riguarda qualsiasi tipo di attività. La tecnologia informatica disponibile è in grado di permettere produzioni esterne anche molto complesse: immaginiamo una fornitura di materie prime dall’Africa, una successiva semilavorazione in India, poi un assemblaggio in Cina e una rifinitura finale in Italia.

outsourcing internazionale

Praticamente per avere un prodotto conveniente, a volte bisogna fargli fare il giro del mondo per poi marchiarlo “Made in Italy” quando in Italia è stata solo applicata un’etichetta in fondo al processo produttivo. Lo sanno bene certe megacompagnie cinesi che fanno transitare in Italia i loro prodotti alimentari di scarsissima qualità, li mettono in barattolo e li rivendono successivamente con un prezzo molto più elevato del loro valore su mercati a loro proibiti, grazie al fatto che sono diventati magicamente “Made in Italy” (no comment). Questa è una forma di outsourcing internazionale, nella sua forma meno etica, va detto.
Un’altra forma di esternalizzazione internazionale poco piacevole è quella che porta reparti interi di un’impresa all’estero, là dove la mano d’opera è più sfruttabile, con meno problemi di sindacati e soprattutto con costi notevolmente inferiori. Capita che ciò avvenga anche se nei paesi di destinazione non ci sia una cultura manifatturiera adeguata, per questo talvolta alcune imprese ripensando alle proprie politiche rientrano nel paese di origine. Non capita spesso ma una certa tendenza in questo senso è riscontrabile, soprattutto per le imprese con una politica più legata alla qualità che al prezzo finale.

Perché fare l’outsourcing

I motivi per esternalizzare l’attività sono quasi sempre legati alla convenienza economica. Possono esserci motivazioni logistiche, motivazioni di produttività o di strategia geopolitica, in qualche caso possono esserci motivazioni legate alla qualità del lavoro e o know-how non presente all’interno dell’impresa. Tuttavia la motivazione principale  è quasi sempre imputabile alla necessità di contenere i costi e rimanere con una gestione del business agile e versatile.
La competitività imposta dal mercato fa sì che le imprese debbano essere dinamiche, in grado di prendere decisioni importanti in poco tempo, di chiudere una produzione e attivarne un’altra. Questo fattore ha una importanza sempre crescente perché la velocità del mercato lo richiede, per esempio: se in azienda abbiamo del personale formato ad assemblare lavatrici, il giorno dopo non potranno essere disponibili per produrre TV. In outsourcing invece si, basterà cambiare fornitore, da uno che produce lavatrici ad uno che produce televisioni.

Un vantaggio importante che si ottiene rivolgendosi a fornitori, è anche relativo al costo certo che il prodotto o servizio avrà. Con l’outsourcing non potranno esserci errori di calcolo su difficili valutazioni di costo: il prezzo è stabilito da contratto, a priori, e le consegne e i problemi di produzione rigurderanno il fornitore esterno.

Prima di fare un breve elenco delle attività più sviluppate in outsourcing, vi indico un libro per un eventuale approfondimento sull’argomento:
Outsourcing strategico. Tecniche di gestione, criticità, vantaggi competitivi“.

Alcune tipiche attività esternalizzabili:

  • Consulenza Aziendale e Marketing in outsourcing (la nostra attività!);
  • Servizio di Pubblicità (la nostra attività!);
  • Web marketing (la nostra attività!);
  • Servizi di comunicazione aziendale per lo sviluppo del business (la nostra attività!);
  • Consulenze Legali;
  • Consulenze fiscali;
  • Consulenze strategiche;
  • Consulenze del lavoro e più in generale tutte le attività di consulenza;
  • Produzione parziale o intera del prodotto oggetto del commercio;
  • Erogazione per conto della azienda committente di un servizio non disponibile internamente per assenza di know-how o insufficienza di forza lavoro;
  • Gestione delle risorse umane;
  • Servizi di IT (information technology);
  • Servizi di mensa;
  • Servizi di pulizie;
  • Servizi di sicurezza;
  • Servizi di spedizione;
  • Servizi di logistica come la spedizione con corriere o magazzini esterni meccanizzati.

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